L’arte di guardare: i regimi scopici 

La cultura visuale, questa disciplina sconosciuta, in qualche modo suscita in noi un interesse recondito solo a sentirla pronunciare.
In un mondo in cui siamo sommersi dalle immagini, non bisogna mai dimenticare che queste hanno la capacità di interpellare il nostro sguardo.  
Si può perciò parlare di regime scopico come una modalità condivisa dello sguardo. È un concetto introdotto dal teorico cinematografico Christian Metz, e ripresa dallo studioso Martin Jay che analizza lo sguardo, in particolare quello legato all’opera d’arte nei vari secoli, a contatto con momenti culturali diversi. 

Regime scopico rinascimentale

Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, 1460

Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, 1460

Il Rinascimento è caratterizzato da un’applicazione virtuosistica di prospettiva basata sulla proiezione di un punto di vista specifico che è quello dell’osservatore. Si crea una separazione netta tra chi guarda e l’opera, che esclude la presenza dell’osservatore come corpo. 
Il punto di vista rinascimentale è singolo in quanto mantiene la sua natura geometrica ma corrisponde ai nostri due occhi, esclude quindi la componente corporea.

Lo sguardo con cui i contemporanei guardavano i quadri di Piero della Francesca è individuale, intellettuale e distaccato.
La volontà dell’artista rinascimentale è quella di diminuire la distanza tra il soggetto rappresentato e l’osservatore, una presenza puramente intellettuale. Fa questo attraverso la profondità, il volume, il chiaroscuro e cercando sempre più di far coincidere la realtà dell’opera con quella che ci circonda: riduce i limiti della pittura come medium.

Percepiamo, infatti, la tela e il pennello molto meno in un quadro di Piero della Francesca che non in uno di Pollock. 
Il medium (la tela e la pittura in questo caso) è ciò che ci permette di fare esperienza dell’immagine. Meno ci rendiamo conto di questo, maggiore sarà la nostra attenzione al soggetto rappresentato. 

Vasari parla di Leonardo nelle Vite come «colui che diede alle figure il moto e il fiato». Con questa espressione Vasari suggerisce lo stesso concetto: l’artista riuscì a ridurre la presenza della tela come medium.

 

Leggi anche:   Quando un libro è espressione d'arte (2021): mostra a Milano allo Spazio Mantegna

 

Regime scopico naturalista o descrittivo 

Rembrandt, La lezione di anatomia del dottor Tulp, 1632

In dialetto milanese si usa un’espressione che bene rappresenterebbe questo aspetto: Fa’ balà l’oeucc. Utilizzato quando lo sguardo vaga su una superficie o in uno spazio senza meta e parallelo alla superficie, questo modo di dire ci aiuta a comprendere lo sguardo che caratterizza il regime scopico naturalista.

Nei quadri di Rembrandt lo sguardo si perde sulla superficie, percorre in modo analitico lo sfondo monocromo, spesso privo di dettagli. Non c’è un punto di vista privilegiato. 

 

Regime scopico barocco:  lo specchio

Pietro da Cortona, Il trionfo della Divina Provvidenza, 1633-1639, Roma, Palazzo Barberini.

Pietro da Cortona, Il trionfo della Divina Provvidenza, 1633-1639, Roma, Palazzo Barberini.

Il Barocco nasce dalla confutazione della presunta centralità dell’uomo all’interno della realtà. Quell’idea che era stata alla base del pensiero rinascimentale, si sgretola e perde forza. Davanti alla terribile angoscia dell’uomo come goccia in un vasto mare, come punto indistinto nell’universo, gli artisti corrono al riparo. 

Lo spazio si fa vorticoso, capace di risucchiare lo sguardo. Quello sguardo che costituisce il rapporto tra noi e l’immagine è rovesciato. 
Si potrebbe definire come un’esperienza estetica nata dalla sconfitta e dall’ incapacità di controllare il mondo. 
Ecco che allora l’artista, come il poeta, si concentra su sensazioni estetiche che oltrepassano il carattere visivo e inghiottono occhio e corpo. Lo sguardo barocco si oppone a quello disincarnato rinascimentale con una riscoperta della superficie, della corporeità e della dimensione tattile. Nasce e si diffonde l’idea del’opera d’arte totale in cui il punto di vista diventa frammentario. 

Questi sono i tre regimi scopici che Martin Jay definisce come fondamentali, diversi da quelli moderni e postmoderni che caratterizzano invece il modo di approcciarsi all’opera d’arte del ‘900.

 

Leggi anche:   Vincent allo specchio tra arte e vita 

 

Cézanne e il modernismo

Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, 1460

Cézanne, La Montagna Sainte Victoire, 1904-6

Cézanne è colui che si distacca per la prima volta dalla rappresentazione per concentrarsi sull’ elemento concettuale del quadro nella sua dimensione materiale. 

La visione realistica soccombe alla composizione in cui la dimensione materica e il medium bidimensionale diventano importanti: osservando il monte Saint Victoire si percepisce prima la pennellata e solo dopo il soggetto. La dimensione tattile, la spazialità antiprospettica e il gusto per la superficie diventano essenziali. 

A differenza della pittura rinascimentale che, nella sua forma più alta, riduce i limiti della pittura nascondendo il medium, la pittura modernista compie l’azione opposta: mettere al centro dell’opera il medium che diventa il primo elemento di cui l’osservatore fa esperienza. 

La sguardo modernista è il primo a volersi definire e cerca la sintesi dei primi tre sguardi  e regimi scopici.

 

Leggi anche:   Re-vision, un volo d'uccello sull’opera di Lorenzo Petrantoni

 

Lo sguardo Postmodernista

Hirst, Il regno del Padre, 2007

Hirst, Il regno del Padre, 2007

Non possiamo definire appieno il regime scopico della nostra società contemporanea in quanto ne siamo immersi.
Possiamo però dire che lo sguardo di oggi, invece di essere, agisce e vive di un carattere frammentario. È uno sguardo indagatore che viene attivato come tale.

Un esempio può essere l’opera di Damien Hirst Il regno del padre.
L’osservatore che si avvicina all’opera, meravigliato dai colori che ricordano le vetrate gotiche, si accorge che si tratta di farfalle morte. Un gioco geniale quello di Hirst che fa riflettere sulla relazione tra morte e vita. 
In quest’opera lo sguardo, prima meravigliato, diventa analitico e si lascia modificare dalla fruizione dell’opera. 
L’artista che ha scosso il mondo artistico con il record di vendita di un grande squalo nella formaldeide poeticamente chiamato L’impossibilità della morte nella mente di un vivo forse non ha riflettuto troppo sul regime scopico creato dalla sua opera.

Nonostante la volontà dell’artista è innegabile che lo sguardo, con cui osserviamo le opere d’arte e le immagini più in generale, sia sempre caratterizzato da aspetti che superano la nostra volontà o quella stessa dell’artista.