La ciotola del pellegrino di Philippe Jaccottet
In Marzo 13, 2020 da Greta MeroniAppunti e pensieri su Giorgio Morandi
Un ottimo antidoto per tutti coloro che sono sempre di fretta, La ciotola del pellegrino (Casagrande, 2007) è un libro che porta a rallentare, ad interrogarsi sui misteri, forse irrisolvibili, dell’arte di Giorgio Morandi. È prima di tutto un testo che insegna l’arte della pazienza.
A metà strada tra un saggio e un’opera poetica, Philippe Jaccottet si accosta a questo artista portandosi dietro un ampio bagaglio letterario; tra il pensiero di Pascal e Leopardi indaga la profondità del messaggio dell’artista.
Accostarsi a Morandi non è mai semplice. Il pittore infatti riesce a parlarci dell’ignoto partendo da semplici oggetti. Le sue bottiglie e ciotole diventano edifici metafisici che trascendono la loro concretezza oggettuale.
In Morandi notiamo quasi la paura della realtà. Forse proprio per questo motivo gli oggetti quotidiani vengono elevati, si spingono oltre la realtà sensibile.
Non è importante l’identità di ogni singola bottiglia, non è importante che essa prima contenesse acqua o latte, ad esempio. Non è rilevante nemmeno la bottiglia in sé, potrebbe essere una caraffa o un bicchiere. Gli oggetti di Morandi si fanno portavoce di una realtà più ampia. Essi si tingono di colori d’alba, di tinte sabbiose .
Jacottet prende in esame questo artista in relazione alla pazienza partendo proprio da quelle tinte tenui che popolano i quadri, gli oggetti ripetuti ma mai banali. Lo fa con una forte sensibilità, insegnandoci che per parlare di arte è necessario accostarsi all’opera con la volontà di comprendere, di fondersi con essa stessa. In questo caso il confine tra arte e poesia, tra arte e vita, sembra divenire tanto labile quanto i colori delicati ma densi di Morandi.
I quadri di Morandi ricordano i lunghi silenzi delle opere di Chardin e gli strati di polvere dipinti da Baschenis, due artisti tra Seicento e Settecento che hanno innovato il genere della natura morta tanto da creare qualcosa di unico. In Morandi traspare, però, al contempo, una forza che sembra attrarre lo spettatore all’interno dell’opera.
Jaccottet vuole far riflettere soprattutto su questo: sulla forza dietro a tanta delicatezza.
Ecco perché scrive che:
«La pazienza significa aver vissuto, aver pensato, aver “resistito”: con modestia, sopportazione, ma senza rivolta, né indifferenza, né disperazione; come se, dentro questa pazienza, si attendesse nonostante tutto una sorta di arricchimento; quasi che la pazienza permettesse di impregnarsi sordamente dell’unica luce che conta.»
La poesia necessita di pazienza, come la vita… forse di più.
Nel suo libro Jaccottet ricorda la visita di un grande critico nell’atelier di Giorgio Morandi e come quest’ultimo avesse detto al critico, parlando del suo amatissimo Pascal: “Ma lo sai che era un matematico? Con la matematica, con la geometria, si può spiegare quasi tutto! Quasi tutto!”. E Jaccottet annota: “forse, tutta l’arte di Morandi risiede in quel quasi”.
Il libro è un piccolo gioiello ma essenziale non solo per capire a pieno Morandi ma anche per conoscere un grande poeta quale è Philippe Jacottet e per sentire la pazienza impregnarsi sordamente alle ossa.
Non è un libro che crea una fuga dalla realtà ma un piccolo volume che ci fa avvicinare maggiormente alla sua muta essenza.
Due parole su Philippe Jaccottet: consigli di lettura
Philippe Jaccottet: Poeta, prosatore e traduttore svizzero che dal 1953 vive in Francia. Figura spesso non abbastanza conosciuto i cui versi carichi di semplicità, dolcezza di lessico e sintassi presentano una forte esigenza di verità. Molti suoi libri sono pubblicati da Marcos y Marcos e tradotti dal poeta Fabio Pusterla.
Giorgio Morandi: Lettere (Abscondita 2004). Continuo a essere convinta che uno dei migliori modi di conoscere gli artisti è leggere le loro parole. Il libro presenta inoltre un passo di Roberto Longhi che si rammarica della morte del pittore sottolineando l’importanza del suo lavoro pittorico: «Il mio sbigottimento alla notizia della morte di Giorgio Morandi non è quasi tanto per la cessazione fisica dell’uomo, quanto, e più, per la irrevocabile, disperata certezza che la sua attività resti interrotta, non continui; e proprio quando più ce ne sarebbe bisogno. Non vi saranno altri, nuovi dipinti di Morandi: questo è, per me, il pensiero più straziante».
Questa e altre considerazioni del critico d’arte Roberto Longhi su Morandi si possono trovare nel volume Da Cimabue a Morandi (I Meridiani, Mondadori, 1973) .