Appunti su Giacomo Leopardi
In Febbraio 9, 2022 da Riccardo GiannattasioUna vita fra Recanati e il resto d’Italia
La formazione
Il rapporto di Leopardi e il suo luogo natale, Recanati (oggi in provincia di Macerata, nelle Marche), fu conflittuale. Lui, cioè, tentò sempre di distaccarvisi, ma ne fu sempre attratto, volente o nolente. A Recanati nacque il 29 giugno 1798, figlio di Adelaide, di una famiglia di marchesi locali, e Monaldo, un conte. La sua formazione si compì da autodidatta e grazie al contributo di precettori privati. Nella biblioteca paterna, oggi visitabile all’interno della sua casa, mosse i primi passi nel sapere più erudito. Il padre era uno scrittore di idee reazionarie: pertanto il giovane Leopardi si avvicinò tanto agli illuministi francesi quanto ai classici greci e latini.
A questi primi anni, risalgono gli esperimenti poetici e le opere erudite. In relazione al mondo classico, a 17 anni scrisse un’opera il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. Questi anni sono anche conosciuti come i «sette anni di studio matto e disperatissimo» (1809 – 1816), felice espressione di Giacomo stesso in una lettera a Pietro Giordani, uno dei suoi più grandi amici. Questo periodo ebbe anche gravissime conseguenze sulla sua salute: scoliosi e problemi alla vista lo avrebbero attanagliato per il resto della vita. Secondo altre teorie, la malattia che lo colpì fu la tubercolosi ossea.
La «conversione letteraria»
Con il 1816 si inaugura un’altra fase della sua biografia intellettuale e personale: il «passaggio dall’erudizione al bello», ovvero la «conversione letteraria», entrambe definizione tratte dal suo Zibaldone, definiscono il cambiamento che era occorso. A quest’altezza di anni, lascia da parte gli studi filologici in favore della poesia, forma artistica che predilesse per esprimere sentimenti individuali e al contempo universali.
Scrisse una lettera, che non venne mai pubblicata, intitolata Lettera ai sigg. compilatori della “Biblioteca italiana”, indirizzata alla celebre rivista letteraria. Esprimeva la sua opinione in merito alla polemica fra classicisti e romantici, della quale soprattutto Madame de Staël fece sentire la sua voce. L’importanza di questa lettera ci mostra la sua opinione in merito alla contemporaneità e al mondo classico: Leopardi si schierò con i classicisti perché sosteneva che i classici non andassero imitati, ma bisognasse riviverne il rapporto con la natura e la loro capacità di percepire sentimenti in modo più immediato.
La sua amicizia con Pietro Giordani, un letterato, lo aiuto a emergere dall’abisso nel quale era caduto e a prendere consapevolezza di sé. Una cugina di secondo grado, ospite nei palazzi di Recanati, Geltrude Cassi, fu per lui il primo amore. A lei è dedicata Il primo amore, un’elegia dei Canti.
Nel 1817 comincia a scrivere delle memorie, ma complesse da definire, che oggi conosciamo perché pubblicate, lo Zibaldone di pensieri. Il significato originario del termine è quello di bevanda composita; il significato traslato viene ad indicare un quaderno di pensieri vari.
«Dal bello al vero»
Nel 1819 sopravviene un periodo di crisi: il giovane Leopardi, appena maggiorenne, aveva predisposto una fuga da casa, ma viene scoperto e deve rinunciarvi. Sul piano letterario, fu lui stesso a definire questo periodo «di conversione filosofica» e ancora «da bello alla ragione e al vero». La poesia in questo periodo assume un valore nuovo e diverso per Leopardi: diventa il luogo in cui esprimere le illusioni e pertanto il rifugio dell’uomo infelice. Scrive i sei più importanti idilli: L’infinito, La ricordanza (Alla luna), Lo spavento notturno, La sera del dì di festa, Il sogno, La vita solitaria. Al fianco di questa produzione più lirica, abbiamo una serie di canzoni nelle quali tratta della presa di consapevolezza dell’infelicità umana.
Compì il suo primo viaggio vero e proprio a Roma, ospite di uno zio. Rimase molto deluso dalla città, le cui meraviglie lo colpirono meno di quanto lo urtò l’arretratezza della cultura romana.
Un temporaneo abbandono della poesia: il «pessimismo cosmico»
Dopo la pubblicazione delle Canzoni, segue un periodo di temporaneo abbandono della poesia per dedicarsi alla prosa di tipo filosofico. Comincia a stendere le prime venti Operette morali, per poi completare il libro successivamente. Si tratta di un’opera di carattere filosofico e speculativo, ma originalissimo è il tono con cui tratta la materia. Ora in forma di dialogo, ora in forma quasi di parabola allegorica, Leopardi riprende il romanzo filosofico di Voltaire in forma breve e personale. Un critico novecentesco, Bonaventura Zumbini, definisce questo periodo di «pessimismo cosmico»: la natura è vista come matrigna indifferente alle creature.
Collaborazioni editoriali in giro per l’Italia
A Milano (città che non gli piacque) raggiunse l’editore Stella per dirigere un’edizione del corpus ciceroniano; si trasferisce a Bologna dove cura un’edizione del Canzoniere di Petrarca. In quest’occasione pubblica le prime Operette morali su rivista e vive una storia d’amore non corrisposto. Ritornò per un breve periodo a Recanati, perché non riuscì a sopravvivere dei soli proventi del suo lavoro intellettuale. Ripartì presto per Firenze e Pisa, quest’ultima città che amò. Con le poesie Il risorgimento e A Silvia, lui stesso si accorse di essere tornato al gusto per la poesia che aveva un tempo.
L’ultimo soggiorno recanatese e il ritorno a Firenze
Durante il suo ultimo soggiorno recanatese, produsse alcuni dei suoi migliori testi come Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta e Il sabato del villaggio. Non riusciva più a sopportare il suo paese natale, quindi scrisse a Viesseux, un amico fiorenti, chiedendogli un impiego, pur di uscire dalla reclusione recanatese.
È grazie all’amicizia con Antonio Ranieri, che si muove fra Firenze e Roma. A Firenze trova una nuova musa ispiratrice, Fanny Targioni Tozzetti. L’amore non venne ricambiato, ma gli ispirtò quello che viene definito “ciclo di Aspasia”, una serie di cinque canti dedicati alla donna, celata sotto lo pseudonimo di Aspasia.
Napoli, infine
Dal 1832 non si hanno più tracce di appunti all’interno dello Zibaldone. L’anno dopo si trasferì a Napoli perché i medici gli avevano consigliato di recarsi in una località con clima più mite e favorevole. Il cognato di Ranieri gli concesse di soggiornare in una sua villa, dove si dedicò a comporre i Pensieri e un poema satirico e allegorico, i Paralipomeni della Batracomiomachia. Scritti gli ultimi due canti, La ginestra e Il tramonto della luna, dopo una straziante lettera al padre in cui afferma di invocare «l’eterno riposo», si spegne all’età di 39 anni il 14 giugno 1837.