Requiem di Tabucchi: l’opera più portoghese di un ottimo scrittore italiano
In Marzo 8, 2021 da Riccardo GiannattasioL’edizione Feltrinelli (edizione originale 1991) del romanzo breve Requiem di Tabucchi omette il sottotitolo Un’allucinazione, invece presente nel titolo originale portoghese. È fondamentale però non perdere di vista questa definizione che l’autore stesso ha deciso di apporre al testo. Anche in Sostiene Pereira (ne abbiamo già parlato su questo blog) c’era un sottotitolo omesso sulla copertina: Una testimonianza. Tabucchi ricorre a questi sottotitoli come a voler meglio specificare il “genere” a cui appartengono i suoi racconti.
Il viaggio e il Requiem
«Questo Requiem, oltre che una “sonata”, è anche un sogno, nel corso del quale il mio personaggio si ritrova ad incontrare vivi e morti sullo stesso piano […]»
Tabucchi sceglie sempre generi peculiari, caratterizzano la sua produzione. In Requiem, come in parte in Notturno indiano (1984), lo spostamento fisico del viaggio è metafora di qualcosa d’ulteriore, quasi mai esplicitato. Semplificando un testo molto introspettivo, in Notturno indiano il viaggio in India alla ricerca dell’amico era metafora della ricerca di sé. Requiem è invece un viaggio mentale – l’allucinazione del sottotitolo – ma per luoghi reali, quelli di Lisbona e del Portogallo. Attribuire un significato puntuale a ogni elemento del racconto credo tradisca le intenzioni dell’autore: Tabucchi scrive una messa in memoria di un defunto (questo è il Requiem del rito cattolico), eseguita dal personaggio che dice “io”. Non si capisce chi sia il defunto in questione: potrebbe essere lo stesso personaggio protagonista, ma lo sono anche i personaggi o almeno parte di essi.
Dalla nota introduttiva che, nel miglior stile di Tabucchi, non mette ordine alle carte ma le spariglia, emerge un punto fermo: questo romanzo «è un omaggio ad un paese che io ho adottato e che mi ha adottato a sua volta», cioè il Portogallo che Tabucchi ha tanto amato.
Gli incontri
Di cosa tratti il libro è domanda difficile. Un personaggio racconta in prima persona di una lunga attesa in una torrida Lisbona. Chi attenda è domanda ancor più difficile. Attende un personaggio che noi supponiamo essere Fernando Pessoa, il poeta portoghese così tanto amato da Tabucchi, e che infine incontrerà.
Il libro però è fatto di incontri di vivi e morti. È la peculiare tecnica di del discorso diretto senza punteggiatura ad amalgamare la narrazione in un flusso continuo ed evanescente. Tabucchi non si smentisce mai in questo: anche quando scrive romanzi in cui la trame è evanescente, fa sempre emergere eventi e intrecci dai dialoghi fra i personaggi che mette in scena. Come in una pièce teatrale, anche Requiem si apre con una lista di personaggi. Sono persone che appartengono alla vita del protagonista o anche perfetti sconosciuti che incontra in questo suo peregrinare per la città. Questo romanzo è una galleria di figure tutte affascinanti ma tutte ugualmente misteriose.
Il portoghese e la cucina
«Una lingua che fosse un luogo di affetto e di riflessione […]»
«[…] preferirei parlare portoghese, questa è un’avventura portoghese, non voglio uscire dalla mia avventura.»
L’inno al Portogallo non si concretizza solamente attraverso l’ambientazione, ma soprattutto attraverso la lingua. Tabucchi, scrittore italiano, scrive questo romanzo in portoghese, e lo fa per necessità. La nota introduttiva ci illumina: per l’autore, il portoghese è che luogo di affetto e di riflessione. Aggiungerei che anche questo romanzo è luogo di affetto per il Portogallo e di riflessione sulla vita e sulle persone. Ma anche nella narrazione non si perde mai di vista la corrispondenza necessaria fra l’avventura del protagonista e la lingua. Il personaggio che dice io infatti afferma: […] preferirei parlare portoghese, questa è un’avventura portoghese, non voglio uscire dalla mia avventura.»
Ma la nota del traduttore, in coda al racconto, ci illumina anche su un altro aspetto: la cucina portoghese. La cultura di un paese passa anche attraverso il cibo, e Tabucchi lo sa bene. Dagli incontri dei quali è intessuto il romanzo emergono nomi di piatti, reali o inventati, della cucina portoghese. La nota ce ne spiega qualcuno, ma, come spesso avviene in Tabucchi, quello che deve rimanere, conclusa la lettura, è la sensazione di aver compiuto un viaggio, tanto in sé stessi quanto in luoghi affascinanti.